COSÌ FAN TUTTE
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Così fan tutte Bergamo 2012 (Photo Studio UV)
Scene e Costumi di Angelo Sala
Luci di Renato Lecchi
Scene e Costumi di Angelo Sala
Luci di Renato Lecchi
Dalla trasmissione di Tv Bergamo
Così fan tutte Bergamo 2012, Immagini di Marco Scalfi
NOTE DI REGIA
«We are all in the gutter, but some of us are looking at the stars»
(«Giaciamo tutti nel fango, ma alcuni di noi hanno gli occhi rivolti alle stelle.»)
Oscar Wilde, Lady Windermere's Fan, Act III, 1892
Dei tre drammi dapontiani per Mozart, sicuramente Così fan tutte è il più misterioso. Sappiamo che il libretto non era stato concepito per il salisburghese, ma per Salieri, primo compositore della corte viennese. Sappiamo anche che Salieri ne musicò qualche scena, ma non sappiamo bene né quando né perché il dramma giocoso sia poi arrivato sul tavolo di Wolfgang. Non conosciamo esattamente neppure la fonte di derivazione del soggetto.
Dal punto di vista teatrale, poi, Così fan tutte rappresenta un piccolo rompicapo. La musica è sublime: ha una partitura di un'altezza quasi innaturale. Il dramma, affrontato secondo logica elementare, non starebbe impiedi. Non funziona che Fiordiligi e Dorabella non s'accorgano che i due travestiti sono i loro amanti. Non funziona che la loro serva Despina entri ed esca dalle loro stanze con i travestimenti più farseschi e non venga riconosciuta. Non funziona, infine, che dopo aver sperimentato le infedeltà reciproche, le due coppie scivolino immediatamente in un finale riparatore tanto rapido quanto inverosimile.
Difficilissimo contemperare il percorso psicologico dei personaggi, che è centrifugo: dal nucleo della trama (una scommessa) i tre gruppi si allontanano irreversibilmente seguendo traiettorie divergenti. Un vero Big Bang drammaturgico. Dorabella e Guglielmo si troveranno a fianco rispecchiandosi in un identico carattere naturale, tagliente e poco propenso agli scrupoli. Anche Ferrando e Fordiligi scoprono una profonda affinità elettiva mentale: sono riflessivi, tormentati, capaci di trasfigurazione poetica, schiacciati dai sensi di colpa. L'ultima coppia dell'opera -Despina e Alfonso- è accomunata esclusivamente dall'interesse. Grettamente economico nella serva scaltra e filosofico nel vecchio cinico. Mozart fa di tutto per secondare la disposizione vocale dei gruppi: arie serie per Ferrando e Fiordiligi; arie di mezzo carattere per Dorabella e Guglielmo (come i coniugi Elvira e Don Giovanni); Despina ha arie da cameriera comica (come Marcellina), mentre Alfonso si esprime da buffo nobile, con voce scura, sentenziando continuamente e facendo riferimento al proprio status sapienzale (qualcosa di simile a un Don Bartolo).
Il presupposto della regìa è che il focus principale di Mozart non sia tanto la denuncia dell'infedeltà di tutte le donne ("così fan tutte", appunto), quanto piuttosto il sottotitolo: "La scuola degli amanti". Intendendo per "scuola" una precisa assegnazione della trama alla tradizione drammaturgica delle Scholae di stampo molieriano: educazioni sentimentali di mariti e mogli tramite beffe ed intrichi. Una decina d'anni anni fa il geniale Jürgen Flimm ha prodotto per l'Opernhaus di Zurigo una bellissima regìa che estremizzava l'impostazione: prendendo alla lettera il termine "scuola" ambientava il tutto in un'aula universitaria e gestiva l'allestimento come si fosse trattato di una dimostrazione logica. La trama in effetti è un teorema sofistico di cui possiamo seguire i tre momenti: ipotesi (la fedeltà delle donne non esiste), tesi (mettiamo le donne in condizione di poter tradire senza conseguenze) e dimostrazione (il tradimento avviene). Eppure, mettendo al centro la dimostrazione filosofica, Flimm ha in qualche modo rovesciato i termini della questione: di solito le dimostrazioni si fanno su oggetti terzi, estranei agli sperimentatori. Nell'opera invece i personaggi sono artefici e vittime del teorema, non hanno un ruolo da osservatori passivi, non sono semplici ricercatori che analizzano in vitro le risultanze combinatorie di una reazione chimica. In effetti loro stessi sono i reagenti della reazione chimica. E alla fine dell'esperimento, L'ossigeno e l'idrogeno diventano irreversibilmente acqua, e l'acqua è cosa ben differente dai suoi componenti d'origine... Per fare un esempio letterario, Stevenson racconterà la coincidenza fra scienziato ed esperimento nel Dr. Jekill e Mr. Hyde: questi percorsi di verità sono sempre sconvolgenti e distruttivi.
In poche parole, segnalata la matrice accademica, illuminista, da parte di Flimm, mi pare che nessuno abbia messo in scena la crudele posizione di chi è soggetto e oggetto di un gioco speculativo. La posizione dei tre uomini, se considerata freddamente, è orrenda: Alfonso è un materialista, ma peggio di lui sono Guglielmo e Ferrando. I due giovani, pur innamorati delle rispettive, le ingannano facendo leva sulla fragilità dei sentimenti e sulle pulsioni erotiche. Le due saranno pure leggere ed infedeli, ma il trio di maschi è una congrega di insopportabili sessisti. Usano il loro potere (danaro e circostanza) per costringere Fiordiligi e Dorabella a comportamenti preordinati. Il fatto stesso di accettare la scommessa (in un bar!) è già un atto di superiorità ed un'implicita ammissione del fatto che le donne si sarebbero rivelate infedeli. La qual cosa effettivamente si verifica. Eppure, negare il principio di libero arbitrio è atto di brutalità. La questione è che Don Alfonso non esce vincitore della scommessa: trionfa una razionalità astratta e crudele; perde l'atto di ingenua fiducia indispensabile perché gli uomini e le donne possano accettare di amarsi reciprocamente. Senza tale pulsione illusoria, senza questo dolcissimo inganno, l'amore prende una china amara, spesso distruttiva. È per questo che il finaletto pacificatorio non risarcisce davvero lo spettatore: nessuno può credere che le coppie possano continuare facendo finta di nulla. Li aspetta un cammino in salita, probabilmente la separazione. Don Alfonso lo sa benissimo: è riluttante nel trascinare i due amici nella tenzone. Se facciamo caso, il vecchio filosofo, nonostante sia il motore dell'azione, canta poco da solo, e quando si esprime è sempre un cantare per citazioni, sovente rabbioso e un po' luciferino. Clamoroso è il caso di "Nel mare solca", in cui l'ottava egloga dell'Arcadia di Jacopo Sannazzaro diventa nella partitura di Mozart una vera e propria invettiva. Mi chiedo quale sia la storia di Alfonso, e perché il personaggio viva in questa rabbia rancorosa. Né Da Ponte né Mozart lasciano indizi per scoprilrlo.
Nel melting pot che sobbollisce nella testa d'un uomo del ventunesimo secolo, le sollecitazioni sono infinite, e di natura fortemente eterogenea. Così, riguardando un film che amo immensamente – Rope di Alfred Hitchcock – ho trovato alcune analogie con Così fan tutte. La trama è la cieca dimostrazione di come un gruppo di intelletti brillanti (maschili) sorretto da puro cinismo possa diventare mostruoso. James Stewart è un docente universitario di criminologia: la sua teoria è che il delitto perfetto sia arte riservata a menti superiori. I suoi due migliori allievi uccidono un collega: s'innesca così una asfissiante sfida intellettuale tra maestro e discepoli, che cercano di sfuggire alle indagini del professore. La pellicola è un capolavoro anche dal punto di vista tecnico. È costato mesi di prove negli studios della Paramount perché girato come una commedia teatrale, in piano sequenza continuo, senza apparenti stacchi di montaggio. La prima cosa che ha prodotto nella mia testa un cortocircuito fra i due lavori è stata la scenografia: l'idea di ambiente luminoso che c'è nella musica di Mozart si immergeva molto bene in ciò che Hitchcock aveva disposto. L'interno borghese lindo e ordinato, la tinta pastello del technicolor, l'eleganza dei costumi, la solerte cameriera e l'argenteria sono messi in contrasto violento con l'efferato delitto commesso e occultato in quelle stanze. Non solo: progettare uno spazio continuo (un ambiente chiuso, stanze su di un girevole con una terrazza aperta sul mare), può dar modo di creare situazioni da commedia, con tutta l'attrezzeria di corredo e le possibilità iperdescrittive di una società molto connotata (l'altissima borghesia primissimi anni Cinquanta, fine Quaranta, il film è del 1948). Allo stesso tempo, evitare la società rococò cui Mozart pensava, può aiutare a sentire i valori di base della narrazione prossimi alla nostra sensibilità. Il percorso drammatico è coinvolgente perché parla di questioni etiche di flagrante attualità. Nel libretto viene inoltre indicata l'ambientazione partenopea, circostanza che ho voluto utilizzare come stratagemma narrativo. La Napoli del dopoguerra era porto di genti, idee e condizioni drammaticamente a contrasto: pensavo ad un mondo fradicio e instabile come quello di Curzio Malaparte ne La pelle. Mi sono chiesto come mettere in violento risalto il machismo della scommessa con lo svolgimento del dramma, lo iato fra condizione maschile e femminile. Mi è stato facile pensare che un basso napoletano, il luogo delle incertezze e del disordine fosse il set ideale per far incontrare il sublime del trattamento musicale escogitato da Mozart e la trivialità dei gesti umani. La strada, luogo di realtà e macerie è l'involucro in cui è protetto il perfetto interno borghese della casa di Fiordiligi e Dorabella in cui si snoda tutta la trama. Un gioiello incastonato, un bell'appartamento fatto di illusioni e convenzioni che vengono man mano smantellate. Insomma, ho cercato di sceneggiare l'opera come si trattasse di un film agito in un luogo molto reale e connotato, vicino a noi, per esaltare la crudeltà del gioco messo in campo da personaggi veri, mai macchiettistici o ridicoli. Per strada, fra assassini e prostitute avviene la scommessa. E fuori dalla casa, senza protezione, Ferrando e Guglielmo condurranno le loro donne alla fine dell'opera. Non potranno più vederle come angeli del focolare, come esseri al di fuori della realtà e della carnalità. La verginità dello sguardo è perduta. Non ci sarà più separazione fra Fiordiligi, Dorabella e le donne di strada. Il prezzo della disillusione è terribile, dunque.
"We are all in the gutter" potrebbero gridare Alfonso, Guglielmo, Ferrando e le due vittime. La dimostrazione cinica è conclusa, suggellato da un bruciante doppio matrimonio riparatore... L'inferno si apre? L'uomo è destinato irrimediabilmente a sguazzare nelle paludi dello Stige? Gli amanti illusi si sono trasformati irreversibilmente in "coniugi" disillusi?
Sì e no.
Sì perché il libretto di Da Ponte traccia esattamente questo percorso. No perché Mozart attraverso la musica trasfigura la schematicità della trama. Se si trattasse della solita, convenzionale, schola misogena contro l'infedeltà del bel sesso e la supponenza del sesso forte, il salisburghese non avrebbe avuto la necessità di direzionare sentimentalmente la composizione in modo così estremo. Il quartetto dei personaggi è costituito da "peccatori" che si agitano dolorosamente senza riuscire a governare il proprio destino. Il materialismo di Alfonso è subìto: ce lo rivela la sofferenza che spesso trapela nelle sue frasi. Su tutto questo, Mozart non condanna: con la partitura partecipa, condivide appieno il cammino delle sue creature. Mozart è in scena insieme ai personaggi, li prende per mano, non li lascia soli: per mezzo dello slancio poetico li consola. Anche Mozart è nel fango, ma indica una via di salvezza: con il suo Così fan tutte ci aiuta a rivolgere gli occhi verso le stelle.
Dalla recensione di Giancarlo Landini in L'opera
Al centro del palcoscenico c'è una pedana. Ruota e mostra i luoghi dell'azione [...]. Il marchingegno che di per sé non ha nulla di nuovo, permette a Francesco Bellotto, che firma la regia, di realizzare in teatro un ritmo che è quello del cinema. In questo caso il mutare delle prospettive del salotto, della camera da letto, del dehors, simulano, per quanto sia possibile, l'inquadratura della camera da presa. La soluzione tecnica, realizzata con maestria, non attiene alla sfera del virtuosismo, ma diventa strumento di interpretazione per creare un crescendo emotivo[...]
I chiari riferimenti al cinema, perseguiti da Bellotto giá in altre regie, producono questa volta un risultato felicissimo che regala al Festival Donizetti uno spettacolo di rara bellezza, dove il termine bellezza si riferisce alla capacità di ricavarsi uno spazio personale ed originale nella storia interpretativa del capolavoro mozartiano. [...]
L'azione si svolge a Napoli, secondo l'indicazione del libretto, ma è la Napoli del dopoguerra, ricostruita negli ambienti, negli abiti, che richiamano il mondo annoiato di una borghesia vacua, quella delle due sorelle e dei due militari, in pericoloso commercio con la malavita dei bassi da cui esce Don Alfonso, in una città che, per la trasposizione, si intuisce essere in grave momento sociale. Il richiamo va alla Pelle di Curzio Malaparte, cui accenna esplicitamente anche Bellotto nel saggio sul programma di sala. Ma in questo caso - ed è l'unico appunto che mi riservo di muovere alla regia - bisognava essere più cattivi, piu crudi nel ritrarre un mondo immorale.
È lecito supporre che la prudenza sembrerebbe dettata da uno spettacolo che, raccontando con eleganza e con misura, intercetta una platea forse non adatta ad accettare soluzione estreme, anche per la presenza di tanti studenti delle scuole superiori.
Andrà detto a chiare lettere che il teatro era pieno di giovani. Essi finalmente comunicano alla sala una vivacità sconosciuta alle consuete recite domenicali che spesso sembrano ad appannaggio della terza età. La loro presenza è la viva testimonianza dell'ottimo lavoro che la Direzione sta svolgendo nei confronti delle scuole e della città.
Per giunta questa platea ascolta senza colpo ferire un Cosi fan tutte pressoché integrale che, come sappiamo tutti, non è opera delle più facili, benché sia un capolavoro senza smagliature.
Stefano Montanari, alla testa dell'Orchestra del Musica Festival Gaetano Donizetti e dell'ottimo coro, preparato da Fabio Tartari, legge l'opera con l'asciuttezza che è necessaria per mettere in risalto il potenziale drammatico di Mozart. È direzione impetuosa, incalzante, capace anche di quegli slarghi melodici che il testo impone. Non cede mai alla calligrafia, alla ricerca dell'ornato, al micidiale appretto che spesso inamida il Cosi fan tutte, rendendola insopportabile. Montanari sospinge il canto, regge l'azione, dà vigore ai recitativi, canta le Arie e dà pieno risalto agli ensemble che sono uno degli elementi costitutivi di questo modo di fare teatro. Rende giustizia a Mozart, lo fa giovane, graffiante, contestatore.
Recensione completa in L'opera - dicembre 2013
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Dalla recensione di Luigi Radassao in Corriere della sera
«Fanti e santi, magnaccia, marinai, cappelle votive e belle di giorno nei vicoli dei Quartieri spagnoli di Napoli; ed un Maggiolone Volkswagen decisamente fuori tempo massimo. Parte in quarta - bello il piglio vitale nel gioco drammatico dell'ouverture, botta e risposta di orchestra ed oboe - la perfetta macchina(zione) mozartiana sulla fede delle femmine. «Così fan tutte»: lo annuncia il titolo e lo si conosce sin dall'inizio il risultato dei composti di questa beuta, l'esito della scommessa che Mozart-Don Alfonso vincerà: la donna è mobile, già nel Settecento. Sta nell'essenza delle cose, ne è legge di natura e questa «commedia di dimostrazione» le fa da corollario. L'ultima collaborazione del genio salisburghese con Da Ponte si è prestata nel tempo a interpretazioni infinite: sulla fedeltà, l'amore di coppia, la carnalità. Venerdì sera la regia di Francesco Bellotto ha trovato la sua chiave di lettura ispirandosi al «Nodo alla gola» di Hitchcock, altro grande esperimento in vitro, questa volta cinematografico, ed attualizzando l'azione agli anni Cinquanta del Novecento.
Dramma giocoso prima che opera buffa, la messa in scena non insegue l'effetto comico a tutti costi - benché il riso non manchi - ed evita di svilire la sottile ambiguità che costituisce il fascino principale dell'opera. Piuttosto, accompagna il dosato inserimento nella provetta di sempre nuovi reagenti, che via via compromettono la stabilità della pozione, insinuando il caos nelle stanze borghesi e negli animi ingenui delle due sorelle protagoniste, sollecitando, infine, negli amanti la presa di coscienza della complessità delle passioni umane. La rapida catabasi non riesce a fugare il gusto agrodolce che il finale lascia in bocca: il dubbio si è insinuato tra le pareti mobili della scenografia, un'efficace pedana girevole che riesce a dare continuità a tempo e azione, ma permette anche di moltiplicare i giochi dello spiare e dell'origliare che sono punti nodali dell'azione.»
Luigi Radassao
Articolo completo in Corriere della sera, p. 12, (11 novembre 2012)
(http://archiviostorico.corriere.it/2012/novembre/11/Agilita_passione_costante_Convince_Cosi_co_0_20121111_50dd9fac-2bd0-11e2-8621-f6a1efbebaad.shtml)
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Dalla recensione di Andrea Dellabianca in GBOPERA
«Il taglio filmico impresso allo spettacolo si ricollega idealmente alla realizzazione scenica de “La cecchina” della scorsa stagione e mette in evidenza il fil rouge, caro al regista, che unisce il teatro d’opera al cinema, in un’efficace contaminazione di generi.
L’allestimento risulta curatissimo sotto ogni aspetto: l’ambientazione scelta dal regista (una Napoli attorno al 1950) viene ben delineata dal lavoro dello scenografo Angelo Sala: una pedana girevole mostra tre diversi ambienti che compongono l’abitazione di Dorabella e Fiordiligi: il salone, la camera da letto e l’ampio terrazzo. Ciascun ambiente appare estremamente dettagliato nel mobilio perfettamente in stile con l’epoca, come pure i costumi, sempre firmati dallo stesso Sala, di bella fattura e dall’appeal piacevolmente ironico, grazie ad accessori (calzature, occhiali) spiritosi e glamour.»
«L’azione si compie passando da un ambiente all’altro con una continuità chiaramente ispirata al “piano sequenza” utilizzato da Hitchcock nel film di cui si diceva. Sempre mutuata dalla pellicola, la presenza ricorrente del famoso rope (ovvero corda, cappio) che, in Mozart, non solo lega gli uomini alle donne, ma vincola entrambi i generi ad un destino certo di reciproco tradimento. Peraltro, Bellotto si dimostra molto abile nel pagare tributo al genio hitchcockiano attraverso la citazione (ad esempio, il momento in cui Don Alfonso si ferisce frantumando un bicchiere nella mano, esattamente come Farley Granger nel film), come pure nel ricorrere ad espedienti visivi capaci di donare un tocco personale alla messa in scena: la parte in cui Alfonso e Despina definiscono i dettagli dell’inganno, mangiando spaghetti dallo stesso recipiente, ci presenta due individui diversissimi per classe sociale, ma strettamente accomunati da una visione disillusa e fatalista della vita.»
Andrea Dellabianca
Articolo completo:
http://www.gbopera.it/2012/11/bergamo-teatro-donizetti-cosi-fan-tutte/
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Dalla recensione di Maria Luisa Abate in Teatro.Org
«Così fan tutte, ovvero come ridare all'opera giocosa di Mozart lo spessore e la dignità che le competono. Nel nuovo allestimento e nuova produzione del Bergamo Musica Festival "Gaetano Donizetti", Francesco Bellotto ha compiuto un percorso esordito dalla musica; atto dovuto ma ahinoi oggigiorno scarsamente praticato.[...]
Il sottotitolo recita La scuola degli amanti; assunto universale non più rivolto in via esclusiva al femmineo, attorno al quale il regista ha dipanato la rielaborazione intimistica mozartiana, sviluppandola e arricchendola di elementi originali. Constatato che nulla nella trama è in attesa di essere rivelato - lo svolgimento è evidente fin dall'inizio ed il finale addirittura preannunciato nel titolo - Bellotto ha impresso un colore di fondo ispirato al giallo di Alfred Hitchcock Rope. [...] La tecnica utilizzata dal grande Maestro britannico del cinema detta "piano sequenza" è stata tradotta in termini teatrali mediante l'uso di una struttura girevole (scenografie e costumi di Angelo Sala) che ha permesso di effettuare i necessari cambi di ambiente senza interruzione alcuna. I personaggi di Bellotto hanno così ruotato nel vortice di un rito collettivo che ha segnato il passaggio da una percezione falsata ad una autentica, in grado di cambiarli per sempre. Concetto espresso mediante gli oggetti di scena ai quali è stato attribuito un preciso riferimento simbolico, senza mutarne il significato semantico. In totale fedeltà drammaturgica, la vicenda è stata ambientata sul finire del 1940 in una casa incastonata, come fosse un nucleo protetto, tra i toni accesi dei vicoli di Napoli dove era parcheggiato un Maggiolino decapottabile, si aggirava un poetico Pulcinella e i marinai danzavano (movimenti coreografici di Alessia Vavassori) con prostitute dagli sgargianti abiti rossi. Identici i vestiti donati alle due protagoniste in grandi pacchi infiocchettati per essere indossati solo dopo aver ceduto alle lusinghe dei finti spasimanti. Riferimento cromatico utilizzato per esplicitare la consapevolezza dei veri sentimenti acquisita attraverso l'inganno. Una corda, la medesima hitchcockiana, ha annodato tra loro episodi e personaggi, palese rimando ai legami artificiali creatisi: stretta al collo di un pover'uomo fino a strangolarlo, esibita dalle peripatetiche, allacciata e slacciata ripetutamente dai polsi degli innamorati, conduttrice di elettricità ad un ferro da stiro-defibrillatore; brandita arma di seduzione o paventato sinonimo d'appartenenza amorosa. E' questa infatti opera di disincanto, dove viene uccisa l'idea stessa dell'amore; sia pur con un finale, dettato da Bellotto ed affidato ad uno sciuscià storpio ai piedi di una immagine votiva, recante un anelito di speranza, un protendersi verso la mozartiana elevazione sacrale. Gli interventi registici più decisi sono stati rivolti a non incespicare nei tranelli buffi del libretto, giostrato tra travestimenti inverosimili e gag cialtronesche. E' stata tracciata una precisa linea di confine a delimitare una fabula comica colta, intelligente ed elegante, nella quale i protagonisti hanno amato davvero e sofferto davvero; con attenta comprensione delle rispettive motivazioni. Se i personaggi si sono dimostrati miserabili, anche tutti gli spettatori lo sono stati empaticamente; quando i soggetti sono finalmente riusciti a guardare oltre, il palcoscenico ha trasmesso alla platea una spinta analitica capace di accompagnare nella medesima direzione. Spessore ideativo unito a eloquenza espositiva.»
Maria Luisa Abate
Articolo completo:
http://www.teatro.org/spettacoli/recensioni/cosi_fan_tutte_23881
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Dalla recensione di Danilo Ruocco in AMLETO.TK
«Ambientato dal regista Francesco Bellotto negli Anni Cinquanta del Novecento, anni in cui il pudore e la sensualità coesistevano, Così fan tutte di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart allestito nell’ambito del Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti è spettacolo ben riuscito. Merito sia della regia, sia della direzione musicale del Maestro Stefano Montanari (molto apprezzata dal pubblico) e sia del cast canoro.
La regia di Bellotto ha puntato sugli aspetti sensuali del testo: i movimenti, la gestualità e la prossemica degli interpreti miravano a sottolineare il confine (spesso scavalcato) tra il pudore e il decoro di facciata e la gioia di una sensualità a volte anche promiscua.
Già dalla sinfonia iniziale (che sfocia nel Primo Atto), ad esempio, il clima è quello di una libertà dei corpi che va ben al di là della morale borghese, dato che il regista traspone l’azione in una via di malaffare di Napoli (con tanto di prostitute e marinai rissosi), quando nel libretto l’azione si svolge in una più tranquillizzante “Bottega di caffè” settecentesca... Per non dire della scena del falso suicidio dei due bellimbusti: nel tentativo di rianimarli, le due protagoniste si spingono a massaggi in zone davvero “off limits”!...
Una scelta, quella del regista, che amplifica il tema dell’opera: ossia se le donne siano o meno capaci di fedeltà coniugale (e si ricordi che la misoginia, nel Settecento, era assai diffusa, quasi una posa)...
Ma la regia di Bellotto è degna di nota anche per almeno due altri aspetti: ha saputo indirizzare i cantanti e il coro verso azioni ben strutturate, rendendo lo spettacolo ben fatto anche dal punto di vista della recitazione (e non solo del canto); e, inoltre, ha sveltito i tempi dei cambi di scena pensando a un impianto scenico (frutto del lavoro di Angelo Sala) tripartito: su base rotante di volta in volta veniva mostrato al pubblico una porzione di esso.»
Danilo Ruocco
Aticolo completo in:
http://www.amleto.tk/2012/11/un-cosi-fan-tutte-sensuale-e-promiscuo.html