IL TROVATORE a Nara
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Costumi di Cristina Aceti
Impianto scenico e luci di Jean-Paul Carradori
Il trovatore di Giuseppe Verdi è
sicuramente l'opera della trilogia popolare più problematica per un
regista dei nostri tempi.
In qualche modo, Verdi con quest'opera
interrompe il suo cammino verso la modernità e ritorna alle origini
della grande letteratura operistica romantica. Il canto italiano in
tutte le sue sfumature (drammatiche, patetiche, di agilità e di
carattere) viene messo da Verdi al centro della composizione.
Certo: sicuramente è anche un tributo
al più famoso librettista della generazione precedente, Salvadore
Cammarano. Era il poeta prediletto da Gaetano Donizetti, autore di
Lucia di Lammermoor e Roberto Devereux. Era un
autore famoso per il colore dei suoi versi, una tinta cupa che caratterizzava azioni in cui gli amori venivano
contrastati da un “destino” crudele che tragicamente portava verso
la rovina e la morte degli eroi. È un destino onnipotente: ha una
forza sovrannaturale. Gli uomini possono combattere ma non vincere.
Per Verdi il canto in quest'opera è la
rappresentazione di questa energia, di questa forza oscura che muove
la trama. A differenza di Rigoletto e Traviata si può
dire che in Trovatore non esiste una vera psicologia dei
personaggi. Pensate un po' a Manrico: quando il pubblico lo sente per
la prima volta («Deserto sulla terra») è invisibile. È un canto
che vola nell'aria. Manrico, lo dimentichiamo spesso, come Orfeo è
un cantante. È stato il suo canto a far innamorare Leonora, che è
un personaggio sospeso tra spiritualità (parla sempre di Dio, sta
per diventare suora) e l'attrazione che su di lei esercita la voce
del Trovatore. Seguirà Manrico, perché il canto ha una potenza irragionevole, quasi divina. Le melodie di Trovatore non appartengono
alla razionalità: sono espressione astratta di quel “destino”
che Verdi prende direttamente da Cammarano. Il canto dei due
innamorati però è luminoso, sembra portare lontano, verso la
felicità e la salvezza future. L'opera è costruita con una
architettura perfettamente geometrica, e così nella drammaturgia i
due personaggi “bianchi” Manrico e Leonora vengono
controbilanciati da due personaggi “neri”. Azucena e Luna sono
dominati dalla mania di vendetta che invece li riporta continuamente
indietro, verso il passato, verso l'oscurità e la morte, verso le
conseguenze di un antico doppio omicidio e rapimento (la madre di
Azucena e Garzia), come si trattasse di una maledizione. Il quinto
personaggio, Ferrando, non appartiene né a un mondo né all'altro:
rappresenta il collegamento fra le due dimensioni. Il suo racconto (ho
immaginato che lo leggesse da un libro di memorie) e il ricordo del
volto di Azucena servono per evocare, provocare lo scontro fra i due
mondi opposti.
Schematicamente, possiamo pensare
dunque a Trovatore come lotta fra luce e ombra, fra giorno e notte.
Sul palcoscenico sole e luna si incontrano, mentre noi sappiamo che
questi due astri non si incontrano mai.
Anche la guerra, la Spagna, la
Biscaglia, l'epoca storica di Trovatore non sono davvero descritte
nel libretto. Per Verdi e il librettista Cammarano sono una specie di
scenografia sullo sfondo che non influisce davvero sullo svolgimento
della storia. È semplicemente un ambiente di guerre lontane nel
tempo e nella geografia. Così come nelle guerre delle favole, o nel
fantasy. Le favole che
vengono raccontate ai bambini cominciano con le parole “c'era una
volta in un paese molto lontano” (in inglese “once upon a time in
a land far, faraway”). Ecco: l'impostazione dei ricchi costumi di
Cristina Aceti non serve tanto a riprodurre un'epoca o un momento
preciso della storia europea. È un medioevo generico, come il
medioevo di “La bella addormentata nel bosco” o dello “Hobbit”:
un mondo lontano, in cui possiamo appunto trovare personaggi in carne
ed ossa assieme a forze magiche.
Per questa ragione ho voluto pensare
alla mia messinscena come simbolica, non realista. Assieme allo
scenografo-light designer Jean Paul Carradori abbiamo cominciato a
progettare un palcoscenico con due spazi fisicamente contrapposti: da
una parte la luce; dall'altra l'ombra. Sul fondo, al centro, la
Grande Hall del tempio che racconta la spiritualità del luogo, e
dunque della musica, del canto.