francesco bellotto
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Immagini dalle ripresa televisive del
17 APRILE 2016
Canale BKS1

SEOUL ART CENTER
Selezione di immagini (BKS1) dalla recita del 17 aprile 2016

Riccardo: Francesco Meli
Amelia: Sae Kyung Rim
Renato: Devid Cecconi
Ulrica: Sanja Anastasia
Oscar: Paola Santucci


Direttore: Carlo Goldstein
Regia: Francesco Bellotto
Scene: Yoongyoon Oh


Un'opera "in maschera"
Nel 1856, la direzione del Teatro S.Carlo di Napoli commissiona a Verdi un'opera nuova. Il compositore è molto contento della proposta, anche perché vorrebbe mettere in scena un soggetto che insegue da tempo, il Re Lear di Shakespeare. Tale notizia non è d'importanza secondaria: dimostra che in quel periodo Verdi è affascinato dall'idea di un dramma tormentato in cui personaggi positivi -spinti da gelosia e dal desiderio del potere- possono trasformarsi in strumenti del male, arrivando all'omicidio e alla strage. Sullo sfondo di questi drammi si muove una guerra minacciosa: la congiura, portata all'interno del palazzo del potere, aiuta il nemico a diventare più forte e terribile. Altro elemento che Verdi trova irresistibile in Re Lear è che il destino -che condiziona la vita dei personaggi- è trattato come una forza magica, irresistibile, la tragica volontà di qualche divinità crudele e capricciosa.

Ma, come noto, il progetto di Re Lear fallisce: Verdi non trova interpreti adatti e a settembre del 1856 si mette alla ricerca di nuovi soggetti. Come è facile immaginare, quando trova il libretto di Gustave III ou Le Bal masqué, di Scribe (Parigi, 1833, su musica di Auber) rimane colpito proprio da quegli elementi che in Re Lear lo avevano così tanto affascinato. In un certo senso, per Verdi Roi Gustave era una prima maschera: sotto, sopravviveva qualcosa di Lear. Scelto il soggetto si apre il conflitto fra Verdi e il librettista: Somma faticava ad accogliere le idee "estreme" e shakespeariane di Verdi, e -per giunta- le auotorità di Napoli proibirono che ci fosse un re protagonista d'un tradimento. La trama culminava con un frivolo ballo di corte interrotto dall'omicidio del re organizzato da oppositori politici: veramente troppo per Napoli, ancora governata dai Borbone, la più potente e antica dinastia aristocratica d'Europa. La Chiesa cattolica inoltre non voleva che si usasse un'epoca in cui si credeva alle streghe.
Verdi all'inizio accetta qualcuna delle condizioni imposte: cambia il titolo (Una vendetta in domino) e molti particolari della trama, ma la censura partenopea non si accontenta. Verdi in quel momento è il più famoso e richiesto operista in Italia e si può permettere di girare le spalle ai Borbone: propone il soggetto al Teatro Apollo di Roma, dove avviene il debutto il 17 febbraio 1859, con grande successo. Ma come è evidente, neppure a Roma la situazione era così libera: tant'è che per andare in scena gli autori trasferiscono l'azione in Nordamerica, Gustavo III diventa Riccardo di Warwick, governatore di Boston. Insomma, il dramma viene travestito ancora una volta, e Un ballo può esser considerato -con buone ragioni- la maschera che copre Gustave III e -allo strato più profondo-  anche Re Lear.

Credo che uno dei compiti più importanti della regìa sia il lavoro di rappresentazione di quel che gli occhi non possono vedere e le orecchie sentire. Un regista sa che una partitura o un libretto sono un universo a sé. Gli studiosi di astrofisica dicono che l'universo è costituto, al 90%, dalla cosiddetta "Materia Oscura": una enorme massa che esiste nello spazio ma non si può vedere e non si può descrivere. Il regista d'opera lavora esattamente con la "Materia Oscura": qualcosa che nell'opera c'è; ne avvertiamo il potere, è l'essenza della teatralità, ma non si vede a livello esplicito nei testi.

Il Ballo in maschera è affascinante proprio per la presenza, quasi sovrannaturale, di molta Materia Oscura. Ho lavorato per raccontarne almeno una parte. In sintesi, queste sono le scelte principali, che ho riunito in due "smascheramenti".

Togliere la prima maschera:
Il Seicento
Il Ballo in maschera è ambientato ufficialmente a Boston, nel Seicento, quando l'Inghilterra era la più grande potenza economica e militare in America. Non è per niente un caso che negli ultimi anni i registi quasi sempre preferiscano la collocazione di Scribe -Svezia 1792- seppure mai debuttata da Verdi. Infatti, anche se le censure impedirono l'ambientazione Europea, il Seicento raccontato nel Ballo è un Seicento molto poco realistico. Non vengono infatti raccontati i climi di "integralismo religioso" di quel secolo (capita, ad esempio ne I Puritani di Bellini), ma vengono raccontati i grandi conflitti del secolo successivo. Le scenografie non rispecchiano assolutamente il gusto essenziale e un po' tetro del Nuovo Mondo nel Seicento: il Ballo non potrebbe sopportare le case di legno dei Padri Pellegrini, le tende da campo o i rustici fortilizi dei conquistatori Inglesi. Il Ballo apre e chiude il suo racconto con scene grandiose di corte, scaloni di rappresentanza, alte colonne, saloni per sontuosi ricevimenti. Come accadeva nelle grandi corti assolutiste europee del Settecento, come quella di Gustavo Terzo, appunto, e non a Boston nel Seicento.
Non solo: è evidente che la congiura di Tom e Samuel, alla quale si unisce il traditore Renato, è una congiura politica legata alla lotta di classe. Tom, Samuel e il segretario Renato sono oppositori del duca di Warwich perché lui, nobile e ricco, manda a morte i suoi soldati e uccide i civili per conservare il potere. Ma questa è chiaramente una prospettiva "post rivoluzionaria", tutta tardo-settecentesca: sono le motivazioni che -nel Settecento- spingevano i borghesi in America, Inghilterra e Francia a prendere le armi per rovesciare le vecchie monarchie dell'Ancien Régime. Non solo: è evidente lo sfondo di guerra rivoluzionaria. I negri, i reietti come Ulrica, rappresentano il popolo e i lavoratori umili senza speranza, la forza irrazionale che anima il "sottosuolo" su cui sono appoggiati ingiustamente i ricchi edifici dei nobili. Renato è totalmente un servo Borghese come Figaro delle Nozze: grazie alla sua intelligenza, spregiudicatezza, cultura e lealtà militare è riuscito a fare carriera e diventare il più importante dignitario della corte di Riccardo. Ed esattamente come nell'opera di Beaumarchais, il nobile padrone di casa ricambia la fedeltà del buon servitore corteggiandone la moglie. I padroni posseggono  tutto quello che toccano. Vogliono tutto, hanno desideri senza freni. E non basta la grandezza d'animo di Riccardo per sminuirne la condizione di dominatore. Il problema, in questo dramma, è che Amelia, a differenza di Susanna, è innamorata del nobilissimo Duca, e non del marito. Amelia me la sono immaginata come appartenente al mondo dei nobili bianchi, ricchi e viziati. Forse, per salire di rango, ha sposato il più importante cortigiano del Duca. Poi, come tutte le nobili sciocche e annoiate, va da una maga perché non sa più come togliersi dai guai, scende nel sottosuolo e lì incontra il mondo dei poveri, dei dominati. La ricetta di Ulrica è perfida: la invita ad andare sul campo di battaglia, là dove vengono uccisi i ribelli del Duca per raccogliere un'erba magica. Amelia, che è sciocca, obbedisce, e lì viene inseguita dal nobile corteggiatore e sorpresa dal marito, che scopre l'inganno. Come in Re Lear, come in Otello, la rabbia del tradimento sentimentale diventa furore assassino perché si innesta su un tradimento politico e sociale. Il creolo Renato, come il negro Otello, sente di essere trattato come schiavo dal dominatore bianco.
Ecco perché ho deciso di togliere la maschera del Seicento e far sentire maggiormente questi conflitti settecenteschi, parte fondamentale del contesto. Allo stesso modo ho chiesto allo scenografo di lavorare sui grandi contrasti fra il mondo "di sopra" (i chiari palazzi ricchi dei potenti) e il mondo "di sotto" (le scure scene di Ulrica e dell' Orrido Campo), il terreno di scontro, di battaglia. I ribelli, che stanno avanzando con le armi in pugno, lasciano dietro di sé rovina, morte e macerie.

Togliere la seconda maschera:
La psicologia della caduta di King Lear in un gioco di specchi
Dopo aver ricollocato nel giusto ambiente etico la vicenda, resta un'altra cosa importante da far "sentire" al pubblico. Il conflitto fra mondo di sopra e mondo di sotto viene portato da Verdi dentro i personaggi. Nella famiglia di Lear, re giusto, entrano la gelosia e l'invidia. Attraverso questa porta segreta si fanno strada -nel pensiero dei personaggi- la guerra, la congiura, il tradimento. Sono molto affascinato dalla scelta di Verdi, che decide di raccontare lo stesso meccanismo con la simmetria degli specchi: è come se due protagonisti fossero sdoppiati, e si presentassero in doppia natura, invertita. Una del mondo di sopra, e l'altra del mondo di sotto. Renato (il "Paria" del mondo di sotto) si riflette addirittura in Riccardo (il "Re"); vuole essere all'altezza del suo padrone, vestirsi come lui, esserne il prediletto, l'amico migliore, il fratello, il difensore, insomma, appartenere e difendere quel mondo di sopra a cui la genetica non l'ha consegnato. Amelia, invece, appartiene già al mondo del potere, ed è la sua vanità che la spinge ulteriormente verso il Duca. Come Narciso, finirà per cadere nello specchio in cui si riflette: il disastro avviene perché prende ordini dalla "regina del mondo di sotto", Ulrica e le sue streghe. Insomma, riconosce il potere del mondo dei poveri, dei derelitti, dei violenti. Così come Renato, rappresentante del mondo dei morti (è voce scura di Baritono) ha il suo alter-ego nel mondo dei vivi (il Tenore Renato), allo stesso modo la nobile Amelia (soprano) sceglie di avere come alter-ego la più inquietante e potente creatura del mondo di sotto, il contralto Ulrica. Tutta la drammaturgia si muoverà dunque attorno a questa doppia coppia, che come in Così fan tutte viene -per un avverso gioco del destino-  rovesciata.
Oscar, con innocente ingenuità, come il paggio Cherubino (o Smeton in Anna Bolena), collega i due mondi, facendoli inconsapevolmente scontrare.

Gli smascheramenti finiscono con la morte di Riccardo/Gustave/Re Lear in scena: solo a quel momento il pubblico potrà finalmente vedere la verità.

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